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La belva nell’ombra di Edogawa Ranpo | Recensione

Lo scrittore Samukawa s’improvvisa detective quando conosce una donna affascinante, Shizuko, che gli confida di essere perseguitata da un innamorato respinto che la terrorizza minacciando di uccidere lei e suo marito. Lo scrittore si trova così implicato in una storia misteriosa dove l’identità del colpevole appare sempre più sfuggente. Quando la ricerca dell’assassino del marito sembra non approdare più a nulla, un piccolo particolare, il bottoncino di un guanto, fa capire a Samukawa che tutto il castello delle sue deduzioni è fondato su un errore e che il colpevole è più vicino di quanto egli avesse immaginato.

Ho conosciuto Edogawa Ranpo con il libro Il demone dai capelli bianchi, una storia che trae ispirazione dal Conte di Montecristo (stesso l’autore lo dice) che è riuscita a conquistarmi con la sua prosa coinvolgente e l’ambientazione cupa.

Questa volta ho deciso di provare a uscire un po’ dalla mia confort zone di lettura e mi sono immersa nella lettura de La belva nell’ombra, un giallo dalle tinte oscure e grottesche.

La storia parla di uno scrittore di romanzi polizieschi di nome Samukawa che inizia un’amicizia con la bellissima Shizuko, una sua grande fan. Un giorno Shizuko confessa allo scrittore che è perseguitata dalle lettere minacciose di un suo ex amante e così Samukawa decide di aiutarla nel risolvere il problema.

Come esperienza di lettura, fuori dai miei soliti generi, devo dire che non è andata male. La scrittura di Ranpo la trovo sempre molto coinvolgente, si entra in contatto con i personaggi e il lettore prova a ragionare con Samukawa al fine di scovare il colpevole.

Ranpo prende in considerazione il concetto delle maschere, stesso concetto che ho trovato anche ne Il demone dai capelli bianchi. Ho apprezzato come ha inserito questa dinamica e come ha evoluto la storia tenendo alta la tensione. Si parla di passione e di pazzia in un modo che ho trovato teatrale.

Anche se non è un libro che mi ha fatto impazzire (molto probabilmente per il genere) è stata comunque una piacevole lettura che mi ha tenuta compagnia.

Il cavaliere, il gatto, la ballerina di P. Vlasov e O. Vlasova | Recensione

Esistono due San Pietroburgo, una dentro l’altra. La prima, è quella in cui vive Maša, una ballerina bloccata in una scuola che non ama e con il sogno nel cassetto di danzare a Parigi. La seconda, è quella in cui risiede la magia. Nel Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo infatti, nascoste nel cuore di quadri, sculture e opere d’arte, albergano le anime degli artisti del passato, pronte a svegliarsi ogni notte. Un viaggio avventuroso in cui Bene e Male si fronteggiano in una lotta senza esclusione di colpi. Sarà la creatività umana a trionfare o l’oblio eterno e l’indifferenza?

Il cavaliere, il gatto, la ballerina è un libro che mi ha molto incuriosito non solo per l’ambientazione russa, ma anche perché il romanzo nel 2015 è stato nominato tra i migliori libri russi per ragazzi alla fiera del libro di Mosca.

Parto con il dire due parole sulla trama.
Ci sono due San Pietroburgo, quella reale e quella legata alla magia, quest’ultima è una San Pietroburgo formata sia dalle creazioni che dai creatori i quali , attraverso le loro opere, vivono dopo la morte. Tutto parte nel Museo dell’Ermitage dove il gatto Vas’ka ha una missione importante e il suo percorso lo porterà a incontrare nella San Pietroburgo reale Maša, una tredicenne che vive per la danza.

Ho amato molto l’ambientazione e il concetto della seconda San Pietroburgo legata allo spirito creativo insieme alla magia. La trama mescola un pizzico di storia, con la comparsa di personaggi importanti come Pietro il Grande (abbiamo anche la presenza costante di Puskin), con la fantasia. Molto interessanti i personaggi, anche se non c’è un grande approfondimento. E’ palpabile il desiderio e il malcontento della piccola Maša, la quale desidera vivere della sua arte. Ho adorato il gatto Vas’ka e il suo senso del dovere, interessante anche il cavaliere e il suo passato.

La storia di base è molto carina e secondo me ci sono anche dei buoni elementi, ma personalmente non mi ha entusiasmata come mi aspettavo. Forse sono partita con troppe alte aspettative in relazione alla fama che ha avuto in Russia. Ciò che non mi ha tanto convinta è lo stile di scrittura che, per i miei gusti, è un po’ troppo descrittivo e a volte l’ho trovato anche un po’ dispersivo. La storia scorre in modo lineare, non c’è molta azione, o comunque mi aspettavo una storia più avventurosa, ma il punto forte è sicuramente l’ambientazione. 

Un libro perfetto per i primi freddi, che vi trascinerà in un’atmosfera invernale, adatto a chi ama le storie che trattato della lotta tra il bene e il male. 

#Prodottofornitoda @DeAgostini

La mia vita con i gatti di Noriko Morishita | Recensione

Noriko vive una vita forse fin troppo tranquilla. È una scrittrice sulla cinquantina da qualche tempo ferma in una palude di tristezza camuffata da abitudine: il libro che sta scrivendo è bloccato da mesi, e nulla sembra andare per il verso giusto. Alla ricerca di una svolta, Noriko fa visita a un santuario shintoista e sussurra: «Dammi la felicità». Il giorno dopo, quasi fosse un segno soprannaturale, vicino al ceppo della magnolia davanti a casa sua, piantata tanti anni prima dal padre, qualcosa si muove nell’aiuola. È una gatta randagia che sta dando alla luce una cucciolata! Nessuno nel vicinato è disposto a prendersi cura dei gattini appena nati: inizia cosí la sua convivenza con questi animali di piccole dimensioni ma capaci di portare un grande cambiamento nella vita di Noriko. E pensare che a lei i gatti nemmeno piacevano… “La mia vita con i gatti” è il diario delle giornate che Noriko trascorre in compagnia dei suoi ospiti felini, ma non solo: grazie a loro, infatti, Noriko farà incontri speciali e scoperte sorprendenti su se stessa, la vita e, soprattutto, la felicità e la sua ricerca.

Una storia delicata, adatta per chi desidera un romanzo dolce che parla di amore per gli animali e per la famiglia. 

Noriko è una donna matura che ha deciso di non sposarsi, semplicemente perché non ha trovato la persona giusta. Abita con sua madre,  lavora come freelance e vive un periodo particolarmente stressante e buio in cui si sente persa: non riesce ad andare avanti con il suo libro, inizia a mettere in discussione le sue scelte di vita, dubita di se stessa. Avvolta da questo stato d’animo, un giorno lei e la madre troveranno una sorpresa nell’aiuola davanti casa: una gatta con cinque cuccioli. 

Sia Noriko che la madre non sono amanti dei gatti, ma trovandosi alle strette e non sapendo a chi affidarli, decidono inizialmente di prendersene cura. Noriko osserva la crescita dei cuccioli, l’amore e la cura che ha la loro madre. I giorni passano e, mentre la protagonista si affeziona ai nuovi arrivati, per lei inizia anche un percorso emotivo che l’aiuterà ad apprezzare la felicità nelle piccole cose. 

Il ritmo è lineare e lo stile di scrittura è delicato e scorrevole. Non è un romanzo avvincente, non aspettatevi colpi di scena, si parla di una storia che tratta della quotidianità di Noriko, la cui vita viene stravolta dall’arrivo inaspettato dei gatti. Spesso ci sono anche dei ricordi passati e il lettore scopre qualcosa in più sulla vita della protagonista e delle persone che le sono intorno. 

La mia vita con i gatti è quel tipo di lettura che definisco confortevole come una coperta morbida. Una storia che si avvicina “in punta di piedi”, già sai che non vuole essere pretenziosa, ma vuole solo coccolarti in una quotidianità dallo sfondo orientale, trasportandoti nelle tradizioni di questa cultura e accennando in alcuni passaggi anche al folclore nipponico. 

Consiglio questa lettura a chi ama i gatti in particolare e a chi ha voglia di una lettura non impegnativa, ma che tenga compagnia. 

#Prodottofornitoda @Einaudi

Namamiko. L’inganno delle sciamane di Enchi | Recensione

Pubblicato in Giappone per la prima volta nel 1965, L’inganno delle sciamane mette in scena, nei palazzi splendidamente adornati e carichi di segreti della corte del periodo Heian, l’indimenticabile storia d’amore tra l’Imperatore Ichijō (980-1011) e la sua Prima Consorte Teishi, e la sottile lotta politica messa in atto dal potente Cancelliere Michinaga per dividerli. La strategia dell’alto funzionario passerà per il corpo e per le labbra di ingannevoli sciamane, due sorelle che loro malgrado diverranno potenti guardiane di verità e menzogne, nonché autentico cuore di una storia memorabile che ha attraversato i secoli fino a giungere a noi grazie alla limpida scrittura di Fumiko Enchi. Attraverso un intreccio sul limitare tra verità storica e romanzo, in un ordito delicato e potente, Namamiko monogatari viene consegnato ai lettori contemporanei come un’esperienza letteraria di rara intensità.

Namamiko è stata una storia che mi ha intrattenuto e incuriosito, ma devo ammettere che ho fatto anche un bel po’ di fatica durante la lettura.

Pubblicato in Giappone per la prima volta del 1965, Namamiko – L’inganno delle sciamane racconta della storia d’amore, ambientata nel periodo Heian, tra  l’imperatore  Ichijō e la sua Prima Consorte Teishi, ma attenzione perché la trama non si focalizza sulla semplice relazione tra i due consorti, ma si evolve in uno scenario politico molto più ampio.

Tutto parte con l’imperatore Ichijō che sale al potere in età giovanissima e prende in sposa, come sua prima consorte,  Teishi, figlia dell’importante Ministro Michitaka. Teishi è di qualche anno più grande di Ichijō e all’inizio il ragazzo si sente in imbarazzo dinanzi alla bellezza della sua consorte, ma mano, mano che il tempo passa, il rapporto si evolve tramutandosi in amore. Le cose cambiano quando muore Michitaka e cerca di prendere il potere suo fratello Michinaga. Da qui si innescano una serie di trame politiche, partendo dai fratelli di Teishi che cercano di contrastare l’avanzata dello zio, alle cospirazioni della madre dell’imperatore Ichijō che detesta Teishi.

Nella prima parte del romanzo Fumiko Enchi racconta di come si è avvicinata a questa storia e ai testi ai quali attinge per poi realizzare un romanzo che rappresenta alcuni fatti storici e altri un po’ romanzati. Per gran parte della lettura si ha più la sensazione di leggere un saggio che un classico romanzo di narrativa, proprio perché vengono anche trascritti alcuni passi presi da altri testi.

Ciò che mi ha creato un po’ di problemi durante la lettura non è tanto la struttura del libro, quanto la difficoltà nel fissare per bene i personaggi. Anche se all’inizio del testo vi è un piccolo elenco che riassume i personaggi, ma ho veramente fatto molta fatica nel seguire tutti gli sviluppi e soprattutto nel tenere bene a mente queste figure. Nonostante questo problema, che è ovviamente un aspetto molto soggettivo, devo dire che la storia è riuscita a tenermi incollata alle pagine.

Ammetto di non essere preparata da un punto di vista storico, però ho apprezzato molto gli intrighi politici, di come Michinaga tenta in tutti i modi di distruggere il rapporto d’amore tra Ichijō e Teishi per far entrare nelle grazie dell’imperatore sua figlia. E Michinaga è disposto a usare qualsiasi mezzo per raggiunge il suo obiettivo, anche utilizzare sciamene e finte possessioni. Il libro si sofferma molto sulle dinamiche della lotta al potere, questo è anche un aspetto che mi porta a dire che si tratta più di un saggio che di un romanzo.

Nel complesso se siete affascinati dalla storia classica giapponese e avete voglia di tuffarvi negli intrighi di corte, è un libro che vi appassionerà!

 

 

La strada di Cormac McCarthy | Recensione

Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un’apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c’è storia e non c’è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all’olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d’infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l’uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d’acqua grigia, senza neppure l’odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile…

La strada è uno di quei romanzi di cui ho sempre sentito parlare molto bene, quindi quando mi sono approcciata alla lettura avevo alte aspettative.

Ci troviamo in un mondo post apocalittico, in cui un padre con il proprio figlio intraprendono un viaggio per la sopravvivenza.

L’ambientazione grigia e cupa è palpabile grazie a uno stile fluido e vibrante. McCarthy scrive una storia che non ha molte descrizioni e non dà neanche molte spiegazioni, e così il lettore si focalizza su questo meraviglioso rapporto tra un genitore e il proprio figlio. I dialoghi tra i due sono semplici, forse a volte banali, ma molto intensi e intimi.

Durante il romanzo non succede poi molto, i due protagonisti nel loro percorso incontreranno delle persone, ma saranno solo delle “comparse”, dei brevi incontri, per poi tornare al loro viaggio.

Si tratta di un romanzo lento, a tratti l’ho trovato statico, ma è anche intimo e riflessivo. Personalmente non mi ha coinvolta molto, a parte qualche scena toccante tra il padre e il figlio, ma per il resto della lettura non succede poi molto e questa “staticità” della trama mi ha rallentato molto la lettura. Sicuramente è un libro non adatto a tutti, non tanto per il tema o l’ambientazione, ma per come l’autore decide di narrare questa storia. Non aspettatevi azione e neanche ulteriori spiegazioni, il tutto si sofferma sulle sensazioni e il rapporto tra il padre e il figlio.

Assedio e tempesta. GrishaVerse di Bardugo | Recensione

“Non sarà sempre così” dissi a me stessa. “Più tempo passerai da libera, più diventerà facile.” Un giorno mi sarei svegliata da un sonno senza incubi, avrei camminato per strada senza timore. Fino a quel momento, mi tenevo stretta il mio pugnale sottile, desiderando sentire il peso sicuro dell’acciaio Grisha nella mano. Ricercata per tutto il Mare Vero, perseguitata dal senso di colpa per le vite spezzate a causa sua nella Faglia d’Ombra, Alina, la potente Evocaluce, sta cercando di ricostruirsi una vita con Mal in una terra dove nessuno è a conoscenza della sua vera identità. Tuttavia, questo dovrebbe averlo imparato, non si può sfuggire al proprio passato. Né, soprattutto, ci si può sottrarre per sempre al proprio destino. L’Oscuro infatti, che non solo è sopravvissuto alla Faglia d’Ombra ma ha acquisito anche un terrificante nuovo potere, è più determinato che mai a reclamare per sé il controllo della Grisha ribelle e a usarla per impossessarsi del trono di Ravka. Non sapendo a chi altri rivolgersi, Alina accetta l’aiuto di un alleato imprevedibile. Insieme a lui e a Mal combatterà per difendere il suo paese che, in balia della Faglia d’Ombra, di un re debole e di tiranni rapaci, sta andando rapidamente in pezzi. Per riuscirci, però, l’Evocaluce dovrà scegliere tra l’esercizio del potere e l’amore che pensava sarebbe stato sempre il suo porto sicuro. Solo lei infatti può affrontare l’imminente tempesta che sta per abbattersi su Ravka e nessuna vittoria può essere guadagnata senza sacrificio. Finché l’Oscuro vivrà – questo Alina lo sa bene – non esisterà libertà per il suo paese. Né per lei. Forse, dopo tanti tentennamenti, è infine giunto il momento di smettere di scappare e di avere paura. Costi quel che costi.

Eccomi a parlare del secondo volume della serie Grishaverse.
Non dirò molto sulla trama perché non amo fare spoiler, ma posso dire che il tutto riparte esattamente dove termina Tenebre e Ossa. 

Mal e Alina sono in fuga, ma l’Oscuro è dietro l’angolo pronto a entrare in azione per riprendersi la nostra protagonista. L’ambientazione che crea la Bardugo è affascinante e ben costruita, in poche righe riesce a rendere l’idea non solo del luogo in cui ci troviamo, ma anche del tipo di società. 

Il ritmo di questo secondo volume è un po’ fiacco, ho trovato più azione e interesse nella prima metà del libro, soprattutto con l’introduzione di nuovi personaggi interessanti. Essendo il secondo capitolo della trilogia, immagino che sia normale che questo sia un volume di “preparazione” al libro conclusivo. 

Ma parliamo della protagonista che, a parer mio, è la “pecca” della storia. Alina è un personaggio che nel primo volume non mi aveva particolarmente conquistata, e in questo secondo capitolo si è accentuato di più il mio pensiero negativo su questa figura. Parliamo di una ragazza che è insicura di sé, che non ha autostima, e all’improvviso si trova tra le mani un grande potere. Da qui partono i problemi perché la protagonista non fa altro che contraddirsi nelle sue scelte, (prima vuole una cosa, poi non la vuole più, è convinta di un percorso, poi vuole cambiarlo), e da questo suo essere ambiguo non fa altro che prevalere anche una parte che trovo infantile. Che il concetto della Bardugo sia “il potere dà alla testa?”, può essere, ma rimane il fatto che purtroppo questo personaggio non ha fatto altro che irritarmi per tutta la storia. 

Ma parliamo della perla di questo romanzo: Nikolai. Un personaggio dalla caratterizzazione originale e che riesce a dare un po’ di brio alla trama. Intelligente, sfacciato e simpatico, questa figura è riuscita a strapparmi più volte un sorriso per la sua irriverenza. Per gli amanti de L’Oscuro vi avviso che qui non compare molto, ma si scopre qualcosa di più su Ilya Morozova.

Nel complesso trovo che la serie Grishaverse non sia il fantasy dell’anno, almeno fino a questo secondo volume, ma è sicuramente una storia di intrattenimento che fa il suo lavoro, merita sicuramente per l’ambientazione e lo stile di scrittura dell’autrice che è fluido e immediato. 

Personalmente trovo che la serie Sei di Corvi sia nettamente migliore sia a livello di trama e soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi che risultato, a parer mio, più realistici e originali. 

Quanto manca alla sera di Evgenjia Nekrasova | Recensione

Katja è una bambina che vive con i genitori in una cittadina di periferia al decimo piano di una casa prefabbricata di epoca sovietica. Nel mondo di Katja dalla ciminiera della fabbrica esce un drago dal muso affilato, le macchie sul soffitto si trasformano in figure umane e le colonne di numeri prendono le sembianze di una poesia. Ma al mondo circostante Katja non serve: i ragazzini la prendono in giro e i grandi non hanno forze e tempo da dedicarle. E Katja trova una via di uscita; ma a quel punto si intromette uno spirito del folclore russo, la kikimora, che vive dietro ai fornelli della cucina. Insieme le due si avventurano in un viaggio spericolato che le porta a superare in crudeltà coloro che le avevano tormentate.

All’improvviso Katja iniziò a parlare, a lamentarsi: aveva capito che nessuno le voleva bene e e la voleva ascoltare, e comprendere, e aiutare. Che Katja voleva bene alla mamma, mentre la mamma non le voleva bene come avrebbe dovuto. […] Che Katja un pochino voleva bene al padre, mentre lui, q quanto pareva, la odiava proprio […]

Katja è una bambina che vive in una cittadina di periferia in una casa prefabbricata di epoca sovietica e ha un rapporto complicato con i genitori: il padre sembra odiarla, mentre la madre è succube del marito. Entrambi non l’ascoltano e non le pongono le giuste attenzioni, troppo presi dalla routine quotidiana. I problemi della protagonista continuano anche quando va a scuola perché non riesce a relazionarsi con i suoi coetanei, i quali non perdono occasione nel prenderla in giro. Per Katja la vita è difficile, stancante, è costretta a isolarsi per proteggersi. Durante la giornata fa il conto di quanto manca alla sera perché è l’unico momento in cui è in pace con se stessa.

La storia si focalizza sulla protagonista, una bambina che non si sente amata, non si sente compresa e che soprattutto non viene ascoltata. Questa situazione non fa altro che farla chiudere in se stessa arrivando a isolarsi dal mondo. Durante le giornate succedono dei fatti misteriosi a casa di Katja, oggetti che scompaiono o che si rompono e poco dopo la protagonista scoprirà la colpevole: una Kikimora. 

La Kikimora è una figura del folclore russo che si presenta come una creatura silenziosa, stramba non solo nel comportamento, ma anche nell’aspetto. Katja inizierà in viaggio con la Kikimora e per la prima volta inizierà ad aprirsi, a parlare, a sfogarsi e questi piccoli gesti l’aiuteranno a infrangere quel muro che si era costruita. 

Si tratta di una storia dove emerge il realismo magico con elementi onirici, lo stile di scrittura è ricercato, ma a volte l’ho trovato non fluido e questo spesso mi ha reso un po’ “pesante” la lettura. La storia si focalizza molto sulla descrizione delle giornate di Katja, approfondendo il suo stato d’animo e la sua solitudine, solo a metà libro incontrerà la Kikimora che smuoverà un po’ la narrazione. 

Quando manca alla sera è un romanzo che consiglio a chi si è sentito o si sente solo e incompreso, e a chi è curioso di conoscere la figura del folclore russo, la Kikimora. 

#Prodottofonirtoda @AtmosphereLibri

 

La più grande di Davide Morosinotto | Recensione

Canton, 1770. Shi Yu non ha mai conosciuto i suoi genitori. Ha sei anni e lavora per l’irascibile locandiere Bai Bai, che non le risparmia insulti e frustate. Un giorno, alla locanda Yu incontra Li Wei, un ragazzino esperto di arti marziali. Yu lo convince a insegnarle a combattere: la ragazza ha talento, si vede subito. Quando, pochi anni dopo, viene rapita dai pirati della ciurma del terribile Drago d’Oro, a salvarle la vita è proprio la sua abilità nella lotta: invece di ucciderla, Drago d’Oro la arruola nell’equipaggio. È l’inizio dell’ascesa di Yu nel mondo della pirateria. A diciannove anni diventa comandante di un’intera flotta, che in breve arriva a contare più di cento navi. Il suo nome terrorizza il Mar della Cina, la sua forza sembra inarrestabile Ma la straordinaria fama di cui gode le ha creato un nemico, tanto potente quanto misterioso, che è pronto a tutto pur di distruggere il wushu dell’Aria e dell’Acqua, lo stile di arti marziali leggendario di cui la ragazza è diventata l’ultima maestra. Un’avventura mozzafiato e un romanzo di formazione, ispirato alla storia vera di Ching Shih, che comandò la più grande flotta pirata di tutti i tempi.

E’ così che funziona il mondo. […] E l’ho imparato fin da quando ero bambina e facevo la serva in una locanda. Se vuoi sopravvivere non puoi lasciarti schiacciare. Devi guadagnarti il rispetto degli altri. La faccia, come la chiama Abbondanza. E l’unico modo per riuscirci è essere forte.

In una Cina del Settecento il lettore conosce Shi Yu, un’orfana che prima lavora come serva in una locanda, poi stanca di subire soprusi decide di imparare le arti marziali grazie all’incontro fortuito con un ragazzino di nome Wei e suo nonno. Questo è solo l’inizio della storia di Yu, una ragazzina che comanderà la più grande flotta pirata.

Un romanzo di formazione che ho trovato interessante e introspettivo. Morosinotto si ispira alla vera storia di Ching Shih, una pirata cinese che ha terrorizzato il mare della Cina andando in conflitto con le più grandi nazioni come l’impero britannico.

Il romanzo ha un ritmo a tratti un po’ lento, i capitoli sono divisi in modo da scandire le fasi della crescita della protagonista partendo da quando ha sei anni. Il lettore si affeziona a Shi Yu che all’inizio è una bambina spaventata dal mondo che vuole diventare forte per difendersi, poi percorre la sua strada da pirata, affronta le avversità della vita a testa alta, si innamora, si troverà ad avere a che fare non solo con battaglie, ma anche con chi è pronto a pugnalarla alle spalle.

L’ambientazione è ben curata, l’autore ci tiene a descrivere non solo per bene gli ambienti, ma anche la cultura orientale che è particolare e affascinante. Lo stile di scrittura è scorrevole, ma a tratti un po’ troppo descrittivo per i miei gusti.

Il romanzo si incentra su Shi Yu, ma compaiono tanti personaggi con soprannomi bizzarri e divertenti, infatti all’inizio del romanzo c’è un piccolo elenco che li segna tutti. Sono una lettrice che ha parecchia difficoltà a seguire la storia quando ci sono troppo personaggi, ma il glossario mi è stato molto utile.

Un romanzo di formazione intenso che secondo me non è solo adatto ai ragazzi, ma anche a un pubblico più grande. Si parla di coraggio, di forza e di una donna che prende in mano la sua vita.

#Prodottofornitoda @Rizzoli